Si è svolta a Pechino dal 21 al 24 ottobre la Prima conferenza Asiatica dell’IPA. Il tema della Conferenza, “Freud e l’Asia. Evoluzione e cambiamento: La psicoanalisi nel contesto asiatico” rivelava l’impegno da parte dell’IPA, in occasione del centenario della sua fondazione, a sostenere lo sviluppo e la crescita della psicoanalisi in Asia. La conferenza è stata anche l’occasione per riunire tra loro tutte le società e i gruppi psicoanalitici attualmente attivi in vari paesi asiatici nella speranza di fruttuosi e significativi scambi per il futuro. La scelta di Pechino e della Cina per questa prima serie di conferenze non è casuale: la Cina è un paese in tumultuosa crescita economica, con un passato illustre ed un futuro ricco di prospettive. La conferenza è stata effettuata grazie ai contributi economici e scientifici dell’Università di Pechino e dell’IPA, in parti uguali. Ci sono stati circa seicento partecipanti, provenienti da tutti i paesi del mondo, con una partecipazione ovviamente più massiccia dei paesi asiatici e di zone limitrofe di quanto non abituati a vedere nei convegni dell’IPA. Gli sforzi congiunti degli organizzatori delle società dell’Ipa e dell’Università di Pechino hanno prodotto un risultato estremamente interessante, da un punto di vista culturale e psicoanalitico. Il ruolo della cultura nello sviluppo della personalità e della psicopatologia, l’accento da porre sulle similitudini piuttosto che sulle differenze tra diverse culture e modelli di sviluppo sociali e individuali sono stati al centro di molte relazioni, sia da parte occidentale che da parte dei colleghi cinesi o di altri paesi asiatici. Particolarmente interessante e importanti sono apparse le relazioni di quei colleghi che, per la loro storia personale, si sono trovati a vivere e lavorare in paesi diversi rispetto a quelli in cui erano nati, con lingue e culture molto differenti. Accanto a questi interventi abbiamo anche molto apprezzato le relazioni di numerosi e illustri psichiatri cinesi, soprattutto di Pechino e Shangai, ma anche di altre province cinesi, alcuni di loro già familiari con il lessico psicoanalitico e con la sua cultura ed ideologia. Abbiamo avuto conferma di come, in una società come quella cinese, in rapida crescita economica e in un contesto di continue trasformazioni sociali, le possibilità di chiedere aiuto per normali sofferenze psicologiche (per esempio la perdita del posto di lavoro o l’abbandono di una persona cara) già molto carenti in un passato storico, appaiono paradossalmente ulteriormente diminuite anche per la difficoltà a confrontarsi con modelli di riferimento del passato ormai obsoleti e per la fatica di costruire nuovi schemi di riferimento. Tali difficoltà sono all’origine delle domande di consulenze, sostegno e training adeguato pervenute da più parti per capire che significato dare a quelle patologie rivelatesi non trattabili con il semplice approccio biologico e farmacologico.
Entrando nei dettagli della conferenza, molto interessante e molto seguita è stata la relazione precongressuale di Claudio Eizirik svolta nell’incantevole setting dell’Università di Pechino, dal titolo “Psicoanalisi e cultura: Sfide della contemporaneità” nella quale il past president dell’IPA sottolineava il contributo dato da Freud e altri analisti alla comprensione della nostra cultura. In tale ottica considerava la sfida offerta alla psicoanalisi dalla globalizzazione, con il velocissimo disseminarsi di informazioni, la nascita e lo sviluppo dei fondamentalismi, la predominanza della cultura dell’immagine, la ricerca di facili e veloci soluzioni alle sofferenze psichiche che insieme sembrano essere gli sviluppi predominanti della cultura contemporanea. Secondo Eizirik gli strumenti psicoanalitici in nostro possesso possono sempre essere estremamente utili per capire le trasmissioni trans culturale e trans generazionali del pregiudizio, della violenza e dell’odio, problemi predominanti nel mondo attuale internazionale; e in questa dimensione gli strumenti psicoanalitici continuano ad essere fondamentali per capire gli sviluppi culturali moderni.
Lungo le stesse coordinate si muoveva la relazione introduttiva della Conferenza, di Salman Akhtar, una delle voci più interessanti ed importanti della psicoanalisi contemporanea. Il paper, dal titolo “Sviluppo della personalità, psicopatologia e terapia psicoanalitica: il ruolo della cultura” ribaltava la prospettiva di Eizirik, pur arrivando alle stesse conclusioni sull’indispensabilità degli strumenti psicoanalitici per la comprensione di una società in continuo cambiamento. Akhtar considera lo sviluppo della personalità di un individuo che evolve dalla complessa interrelazione tra la predisposizione naturale del bambino e le relazioni con i suoi caretakers fino all’interazione con l’ambiente circostante, e come l’ambiente appunto possa premiare o viceversa penalizzare, a secondo della realtà culturale e sociale che rappresenta, l’autonomia e l’indipendenza come valori assoluti della personalità. L’adattamento psicosociale di un individuo alla cultura gruppale in cui è inserito, la trasmissione trans generazionale secondo la quale la storia di un gruppo si tramanda nelle generazioni, l’impatto crescente dell’immigrazione nello sviluppo psichico degli individui e dei gruppi, insieme a molti altri, sono tutti fattori con i quali abbiamo a che fare nella clinica con modalità sempre più intense. A tal fine appaiono di primaria importanza la capacità di mantenere la neutralità culturale, e la capacità di distinguere tra conflitti nevrotici e conflitti culturali, l’interpretazione della funzione difensiva della nostalgia, e soprattutto l’accettazione di differenti livelli di individuazione e differenziazione nelle diverse culture (per esempio la cultura cinese sembrerebbe essere meno differenziata ed individualista di quella occidentale), e quindi le diverse configurazioni edipiche. Anche per Akhtar le interazioni tra psicoanalisi e cultura sono complesse, sfaccettate e soprattutto pervadono ogni istante della relazione paziente- analista.
Ugualmente importante è stata l’altra relazione introduttiva della Conferenza, da parte del presidente della China Mental Health Association, Cai Zhouji, Professore in Psichiatria dell’Università di Pechino, e soprattutto capo della Società Cinese di Psichiatria per oltre 40 anni, dal titolo ” Salute mentale in Cina.” La parte più interessante della relazione consisteva nella descrizione della promozione della psicoanalisi in Cina, attraverso conferenze e sostegno al training psicoanalitico. Mi sembra utile fornire una versione più completa di questa relazione, perché contiene elementi storici di una realtà attuale probabilmente sconosciuti alla maggior parte dei colleghi, e che inevitabilmente ci troveremo ad affrontare in futuro.
L’interesse per la psicoanalisi e per la terapia clinica psicodinamica e psicoanalitica ha una lunga storia in Cina. Già nel 1912 Zhang D. scriveva dei lavori di Freud, e le prime traduzioni delle opere freudiane in cinese risalgono al 1929 (Psicologia delle masse e analisi dell’Io). Negli anni trenta alcuni psichiatri di origini cinese che avevano vissuto negli Stati Uniti, tornarono e lavorarono per un certo periodo di nuovo in patria, prima che le vicende storiche della Cina li facessero nuovamente emigrare. Tra gli altri Bingham Dai, psichiatra, che aveva fatto il training con H. SUllivan a New York ed in seguito all’Istituto Psicoanalitico di Chicago, ed insegnò all’Università di Pechino dal 1935 al 1939. Memorabile la figura di Adolf Storfer, psicoanalista ebreo viennese, rifugiatosi a Shangai durante la guerra, che contribuì con i suoi articoli a diffondere la cultura psicoanalitica, sia nella psichiatria che nella cultura in generale. In definitiva, negli anni trenta, non molto diversamente che in Europa, si assisté ad una progressiva diffusione dei testi e delle idee psicoanalitiche. Le ben note vicende politiche e militari successive travolsero non solo la psicoanalisi , ma quasi tutta l’organizzazione culturale tradizionale cinese per parecchi anni, fino agli inizi degli anni ottanta, quando un gruppo di analisti tedeschi venne invitato a tenere dei seminari a Canton, partecipando anche alle ricerche sul fenomeno dell’epidemia di isteria di massa nell’isola di Hainan. Dal 1997 al 1999 un altro gruppo di psicoanalisti tedeschi fornì agli psichiatri di Pechino, Shangai, Kunming, Wuhan e Chengdu esperienze formative continuative ad indirizzo psicodinamico, con varie modalità di training. Infine nel 2002 la Dott.ssa Teresa Yuan, psicoanalista argentina di origini cinese, stabilitasi a Pechino, iniziò programmi di training psicoanalitico, con l’aiuto di colleghi europei come Sverre Varvin, o americani come Peter Loewenberg, nonché analisi vere e proprie a candidati psicoanalisti. Nel 2006 partì poi un programma di training cofinanziato dal governo norvegese e da quello cinese di psicoterapia psicodinamica. Sebbene sia i programmi tedeschi che quelli norvegesi non avessero alcuna connessione formale con l’IPA, ciò non toglie il fatto che il loro lavoro sia stato cruciale per lo sviluppo di un training psicoanalitico formale in Cina. Attualmente vi sono nove candidati psicoanalisti, che abbiamo potuto applaudire durante la serata dell’Ipso all’Università di Pechino. Ancora più importante però del ristretto numero di candidati attuali appare la penetrazione e diffusione del pensiero psicoanalitico e dell’insegnamento psicodinamico nella psichiatria generale; ci sono attualmente numerosi centri di clinica psicoanalitica nei principale ospedali psichiatrici a Pechino, Shangai, e Wuang.
Dalla mia esperienza personale di workshop con questi psichiatri orientati psicodinamicamente posso dire di avere riscontrato una buona comprensione della relazione terapeuta-paziente, una discreta empatia, e una certa capacità di gestire la giusta atmosfera emotiva, anche in circostanze avverse. Molto richieste sono le evidenze empiriche dei risultati terapeutici: cosa funziona, come e perché? Non a caso i libri di Thoma Kachele a riguardo sono stati tra i primi ad essere tradotti tra quelli degli psicoanalisti contemporanei occidentali.
La restante parte della Conferenza, che sarebbe poi a dire la sua quasi totalità, ha visto la partecipazione in parti uguali di cinesi e occidentali. Molto seguiti sono stati gli incontri plenari. Di particolare interesse mi è parso il lavoro di Sverre Varvin su “Lo straniero e lo straniamento: riflessioni psicoanalitiche sull’incontro con l’alterità”, sulle origini e sviluppo della nostra relazione con l’alterità, con particolare riferimento a come il processo psicoanalitico potenzialmente implichi sempre un aumento dell’apertura verso gli altri. La capacità di simbolizzare l’altro- da- sé e l’incontro con quest’altro- da -sé richiede la capacità di sopportare l’ambivalenza e sapere creare uno spazio psichico per ciò che non è ancora definito. In definitiva, il processo analitico può essere un modello di riflessione per apprezzare e sostenere l’incontro con l’altro, lo straniero ed il “nuovo” sia a livello individuale che a livello gruppale.
Molto seguita anche la conferenza di Werner Bohleber su “Ricordi e storicizzazioni: trasformazioni di traumi collettivi ed individuali e sue conseguenze trans generazionali” che parlava di come le esperienze traumatiche collettive possano creare problemi di narrazione per l’individuo ma anche per il discorso sociale. Le catastrofi collettive creano particolare conflitti generazionali e problemi di identificazione da una generazione all’altra. La ricerca della verità storica appare allora essere di vitale importanza. Questo discorso che non partiva da particolari riferimenti alla situazione cinese ha segnato però una sorta di paradigma della conferenza, nella quale si indirizzavano aspetti delle problematiche cinesi contemporanee, senza però nominarle apertamente. Ad esempio nell’analisi della ricchissima filmografia cinese contemporanea, soprattutto dei film di Yang Zi Mou, la presenza della censura intermittente e della rinarrazione delle vicende traumatiche della storia cinese è stata più volte accennata, senza però diventare argomento principale.
Altro panel interessante è stato quello su Psicoanalisi e Storia, con la presentazione di un lavoro sulla figura di Padre Matteo Ricci, gesuita, umanista, viaggiatore e soprattutto mediatore culturale, che partito da Roma nel 1582 per convertite i cinesi, finì con l’assorbirne la mentalità e cultura locale, da parte di Almatea Usuelli , un altro lavoro sulla figura dell’imperatore Pu Yu, l’ultimo imperatore della Cina da parte di Li Xiaosi e infine alcune considerazioni sulla vita di un famoso intellettuale cinese Ji Xianlin attraverso le varie purghe della storia cinese del ‘900, da parte di Meng Xianzhang.
Discreta la presenza di colleghi italiani alla conferenza, con lavori apprezzati e discussi. Citiamo tra gli altri Almatea Usuelli, Anna Migliozzi, Graziano di Giorgio, Patrizio Campanile, Cinzia Carnevali , Gabriella Vandi e Manuela Gabrielli, e la sottoscritta, Simonetta Diena. Una menzione a parte merita Paolo Fonda, instancabile organizzatore della diffusione della psicoanalisi nei paesi dell’Est e adesso attivo nelle nuove vicende asiatiche.
Infine , ma è un peccato non nominare tutte le numerose ed interessanti relazioni di queste tre ricchissime giornate, la giornata conclusiva ha visto le relazioni di Minnie Dastur, della Società Indiana di Psicoanalisi e di Yang Yunping, dell’IPA Allied Centre.
Minnie Dastur con “La verità universale dei miti riflessa nella teoria e pratica psicoanalitica” ha inserito alcuni elementi della cultura indiana nella problematica generale di questa conferenza sul rapporto tra culture nazionali e teorie psicoanalitiche. Dastur ha ricordato come vi siano aspetti universali e comuni in ogni cultura per quello che riguarda la mitologia. I miti possono differire nel loro contenuto manifesto, ma presentano un contenuto latente comune. Tutti originano dalla profondità dell’inconscio collettivo e individuale. La comprensione dello sviluppo degli elementi psichici nel mito ci può permettere di capire lo sviluppo della mente umana dalla nascita all’età adulta e cogliere le verità universali contenute nei miti di ogni nazione e cultura.
Yang Yunping ha presentato un interessante lavoro sulle “Sfide dell’identità professionale cinese nell’apprendimento e nella pratica della psicoanalisi: discussione del contesto della cultura cinese”. L’introduzione e lo sviluppo della psicoanalisi in Cina per la Prof.ssa Yunping produce inevitabili collisioni culturali e conflitti, ma contemporaneamente permette di sperimentare gli effetti della localizzazione ed il sincretismo nel processo di riconciliazione e ri-creazione della psicoanalisi nel contesto cinese. L’individualizzazione, per esempio, è un importante elemento nella cultura psicoanalitica, e deriva dalla cultura occidentale, dove l’indipendenza e l’autonomia dell’individuo vengono valutati molto positivamente. Però, uno degli elementi essenziali nella cultura cinese è che l’interesse collettivo trascende gli interessi individuali, e gli interessi dei gruppi sociali sono più importanti di quelli delle famiglie. Questo, per esempio, è uno dei conflitti che uno psichiatra cinese si trova ad affrontare quando confrontato con il training psicoanalitico.
Desidererei concludere questo breve resoconto della Conferenza con alcune considerazioni a latere: la conferenza si è svolta proprio in coincidenza dei giorni in cui veniva assegnato il Premio Nobel per la Pace ad un dissidente cinese, lo scrittore Liu Xiao Bo. Di ritorno a casa molti ci hanno chiesto come fosse il clima interno della Cina, e se la “morsa” della dittatura fosse così pesante. Era abbastanza scontato che noi non ce ne accorgessimo, e i cinesi, numerosi, con cui parlavamo, ugualmente sembravano annettere scarsa importanza all’argomento. Ciò di cui parevano entusiasti era la grande trasformazione cui era andata incontro la Cina nell’ultimo ventennio, la conferenza internazionale di Psicoanalisi essendo uno dei tanti inevitabili cambiamenti che stavano affrontando. Molta importanza, nei discorsi, veniva data alla necessità di cambiamenti quotidiani della politica, per esempio alla politica del figlio unico, considerata dannosa e foriera di grandi problemi psicologici presenti, ma soprattutto futuri. Il passato, traumatico, comune a tutti, proprio perché comune, veniva tradotto in un enorme vicenda storica complessiva, in cui il presidente Mao era visto alla stessa stregua dell’imperatore Quin Shin Huangdi vissuto nel 221 A.C. “I tempi sono cambiati – mi ha detto una collega cinese – il mondo intero è cambiato, e così la Cina. Deng Xiaoping ha portato il paese a livelli che non ci saremmo mai aspettati, e siamo orgogliosi di essere cinesi.” Ai tempi di Confucio, (551 a.c.) un bravo funzionario era qualcuno leale all’imperatore e allo stato, compassionevole verso il popolo, diligente nei suoi doveri, devoto non a cambiare il sistema, ma a farlo funzionare meglio. Queste sono le persone che abbiamo incontrato nel nostro viaggio , questi i colleghi con cui ci siamo confrontati. Non so quanto di queste considerazioni possano essere prese come elementi psicoanalitici. Molti protagonisti della vita culturale e politica cinese vivono con orgoglio il tempo moderno, entusiasti delle prospettive e del potere che i tempi moderni stanno aprendo per loro. A noi è rimasta una forte impressione della conferenza e del paese, l’idea che se loro hanno bisogno di noi, sicuramente, per molte ragioni, anche noi abbiamo bisogno di loro. E ben fa l’IPA a finanziare l’inizio dello sviluppo della psicoanalisi in questi paesi. Alla prossima IPA Asia Conference!


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