Chagall

Chagall nasce da una famiglia chassidica ebraica nella piccola città di Vitebsk nel 1887 ed il suo nome vero è Moshe Segal: questa cittadina   comparirà sovente nei suoi quadri, luogo di nostalgia, di memoria, ma di impossibile ritorno.

Come ricorda Claudia Zevi (il sole 24 ore) a commento della mostra di Chagall egli “come in un sogno, come in uno specchio rovesciato, ha proiettato nei suoi dipinti, l’immagine di un mondo poetico intessuto della sua tradizione ebraica. Chagall effettivamente è stato un poeta della pittura, in antitesi alle regole del cubismo e dell’avanguardia pittorica russa dell’epoca.

Cosi egli racconta la sua nascita nell’autobiografia Ma vie: “al momento della mia nascita, racconta mia madre, scoppiò un grande incendio, la città bruciava “sono nato morto, non ho voluto vivere, vorrei che gli psicologi non traessero da questo conseguenze disdicevoli” (11-12).

Come facciamo dunque noi psicoanalisti a volere dare una lettura della pittorica chagalliana se è lui stesso a raccomandarci di non farlo?

La lettura psicoanalitica sembra dunque una violazione una trasgressione rispetto all’ammonimento di Chagall.

Ma forse potremmo prenderla come una trasgressione possibile dal momento che Chagall, pur appartenendo ad una famiglia ortodossa, ha trasgredito la norma ebraica di dipingere immagini (spiegare). Infatti se ce si pensiamo bene la cultura ebraica è caratterizzata dalla scrittura (narrativa, poesia, saggistica, filosofia) ma molto ridotto è il contributo ebraico nel campo pittorico.

Inoltre Chagall nasce nel mondo dello shtetl ed è lì che inizia a dipingere, in mondo molto lontano rispetto all’emancipazione ebraica del ‘700.

Ma poi Chagall intuisce in modo pertinente a non speculare con lo strumento psicologico poiché, freudianamente parlando, il non ho voluto vivere è una negazione di un desiderio di vivere e Chagall ha vissuto quasi cento anni creando ed inventando. Ed in effetti nella sua seconda autobiografia dice di sé stesso di essere stato un “ragazzo così allegro e spensierato” (27c) e che non capisce come “ha potuto fare cose tanto tragiche, quasi a profetizzare le passioni destinate poi a scatenarsi nel mondo” (ibid).

La dimensione libidica e l’amore per la vita, per le donne (per Bella), per il popolo, per la natura, per gli animali lo ritroviamo continuamente, in tutti i suoi quadri, anche nel terribile periodo nazista e dopo la morte di Bella, ad eccezione di un quadro disperato “Apocalisse in lilla” del 1945, seguito due anni dopo con il quadro “Resurrezione”. Ritornerò dopo su questi quadri in quanto vorrei ora porre l’attenzione proprio sul tema della nascita, della vita, della madre “in cui mi lì dentro” (18). non chiedetemi perché dipingo il vitello dentro il ventre della vacca.

Se noi osserviamo con attenzione i quadri di Chagall, ci accorgiamo effettivamente che spesso la dimensione erotica si alterna con una dimensione che non so se chiamare religiosa, ma certamente che evoca il senso della severità e del rigore. (vedi i quadri sui RABBINI E IL SUPER-IO) e che, a mio avviso a che fare con l’incombenza di un super-io paterno e gruppale legato al mondo ortodosso ebraico.

Vorrei però offrirvi qualche mia ipotesi sulla figura del paterno e dell’uomo in Chagall.

“Sopra Vitebsk” (1914) dipinge molte figure di rabbini ed anziani ma questo quadro, in particolare, illustra una soverchiante figura di anziano che sorvola la città. Questo vecchio, come molte altre figure che volano, simboleggia la vita errante di Chagall e del popolo ebraico ma in questo caso non vi è leggerezza ma un senso di peso che incombe sulla città che credo rappresenti una dimensione super-egoica paterna che accompagna pesantemente Chagall nel suo percorso.

Questo aspetto di incombenza lo ritroviamo anni dopo (1944) nell’occhio verde in cui l’occhio, come dicono alcuni commentatori rappresenta l’incarnazione di un Dio che tutto vede.

Chagall però è uomo di grandi invenzioni ibride e se torniamo nel 1925, vediamo un uomo gallo sopra Vitesbk. Una lettura profana fa pensare ad un senso di vaga ironia in questa ibridazione tra l’uomo ed il gallo, ma se entriamo nella simbologia ebraica, di cui Chagall era grande conoscitore, il gallo il ricettacolo dei peccati della comunità; eccoci quindi di nuovo nelle tematiche del senso di colpa e di punizione.


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