Da sempre l’uomo ha proiettato se stesso nell’oggetto architettonico, lo ha disegnato e visto come una creatura antropomorfa, lo ha vissuto ed abitato come un elemento della propria persona, in cui gli spazi si dilatavano e si restringevano per uniformarsi alle sue abitudini e alle sue azioni, fino a diventare una sorta di seconda pelle, fatta ad immagine e somiglianza del suo modo di essere.
Da sempre la casa appare nei sogni dell’uomo, come proiezione di spazi privati del Sé, rappresentazione di stati emotivi o di percorsi di risignificazione, come un oggetto che si presta come nessun altro a simbolizzare e a rappresentare la realtà psichica intesa come ponte tra mondo interno e mondo esterno. La casa può così apparire nei sogni e nei racconti aperta come momento di incontro e di socializzazione con gli altri, oppure chiusa come barriera protettiva contro gli elementi persecutori. La casa così riesce a comunicare attraverso lo spessore delle sue mura e le sue porte blindate l’impenetrabilità di difese erette in tempi remoti contro nemici esterni, o a rappresentare attraverso vetrate che si aprono su ampie terrazze uno spazio interno che si amplia man mano che lo si esplora, in un continuo lavoro di rifacimento e restauro.
E allora ascoltiamo nei sogni o semplicemente nelle narrazioni in analisi di muri che si sgretolano per il degrado dovuto alle infiltrazioni, oppure di fondamenta che vengono gettate per costruire nuovi progetti. Abbiamo porte che si aprono una dopo l’altra su spazi sempre diversi, o che invece rimangono inesorabilmente sbarrate, condividiamo confusi percorsi in camere in penombra, o soleggiati terrazzi fioriti, lunghi corridoi con processioni di stanze, scoperte di spazi impensati, sgabuzzini dimenticati, ampi saloni disadorni, studioli ricolmi di oggetti.
Il cinema ha spesso ripreso con grande finezza e precisione queste simbolizzazioni, queste estensioni e rappresentazioni del Sé, utilizzando la casa come metafora per trasmettere i fantasmi dei suoi abitanti.