Dopo le due incursioni nel genere “cappa e spada” di “Hero” e “La foresta dei Pugnali Volanti”, Zhang Yimou con questo film è tornato alla sua maniera, puntando a privilegiare la sfera intimista, quella cioè dei semplici e allo stesso tempo complicatissimi moti dell’anima: con “Mille miglia… lontano”, infatti, l’autore di “Lanterne rosse”, conferma una volta di più quanto sia per lui decisamente congeniale narrare storie di sentimenti, fatte di piccoli gesti e di umana quotidianità.
“Le persone che si vogliono bene non dovrebbero mai mascherare i loro sentimenti”.
La toccante storia di Takata, è ad una prima lettura come una personale riflessione di Zhang Yimou sul concetto di paternità, o meglio sulla difficoltà di essere padre. Man mano che la vicenda si snoda però, ci si accorge che siamo di fronte ad una delicata parabola sull’incomunicabilità tra le persone, a partire dall’ambito familiare, quello che più riguarda da vicino e che non a caso più fa soffrire. Come ogni esperienza on the road, tutti gli incontri che il protagonista fa lo aiuteranno ad intraprendere (e noi spettatori con lui) un imprevisto viaggio all’interno della propria coscienza, sì da scoprire e ri-scoprire inesplorati sentieri personali.

Zhang Yimou sottolinea con le difficoltà legate alle lingue diverse l’iniziale senso di isolamento e di impotenza di Takata… E’ proprio questo senso di profonda umanità che regala un filo di speranza all’altrimenti drammatica vicenda. Non a caso c’è spazio pure per il sorriso (su tutte le goffe traduzioni del compagno di viaggio di Takata e la compagnia di carcerati-ballerini).

Ma Mille miglia…lontano è anche il titolo di quel leggendario ‘dramma-canzone’ dell’Opera di Pechino che Gou-ichi Takata, protagonista del film, vuole filmare per il figlio Ken-ichi ormai prossimo alla morte. Una rappresentazione dentro una rappresentazione, una vicenda che si (s)doppia e che si autorappresenta anche nelle frequenti immagini di schermi, di fotografie e di riprese video. In realtà il film non attesterà mai l’avvenuta registrazione: per la prima volta mostra nascondendosi, con un ’al di là’ del filmabile (l’intimità, la vita, la morte). Forse Takata non ha registrato nulla, la morte di suo figlio ha annullato i progetti, consegnando alla memoria intima qualcosa che non può essere osservato e spiato (la profondità di un legame, l’altro che è incarnato in se stesso). Lo spettacolo che non ha presumibilmente filmato è in realtà il film stesso che noi spettatori abbiamo visto (hanno lo stesso titolo), un film che non riesce a raccontare l’intimità, tra le persone che si amano, ma solo con l’incontro casuale con il bambino e con gli abitanti del villaggio.

Abituato sin dagli esordi a dover fare i conti con la censura del suo Paese, Zhang Yimou ci mostra – attraverso gli occhi di un giapponese, un bravissimo e raggelato Ken Takakura – una Cina commovente nei paesaggi aspri modellati dal vento e soprattutto nella semplice umanità del popolo. Educato a non esprimere i propri sentimenti, l’uomo comprende nella maturità il proprio limite, ma è incapace di superarlo. Di fronte alla morte imminente del figlio, cerca di compiere un gesto che racchiuda in sé tutto l’amore inespresso in lunghi anni di reciproca indifferenza, scoprendo così l’infinita ricchezza di un popolo povero di beni materiali, simboleggiato da un bambino, discolo e ribelle, figlio del cantante d’opera, finito in carcere per una zuffa. Ricorda molto Non uno di meno, premiato col Leone d’oro, storia di un’insegnante di provincia appena bambina lei stessa,che parte per la capitale a cercare un bambino che ha abbandonato gli studi per andare a lavorare.

Un ultima annotazione sul valore simbolico delle maschere. Le maschere nascondono, ma nello stesso tempo rivelano. Andando alla ricerca del teatro popolare cinese in maschera, il figlio compie una ricerca, un viaggio lunghissimo alla ricerca del padre, nascostosi dietro una maschera di impenetrabilità dopo la morte della moglie, che gli permette di nascondere i sentimenti , ma anche di rivelarli continuamente, la disperazione raggelante del lo sperduto paesino dove si è rifugiato, Nel villaggio cinese, così idealizzato nella sua collettività, Takata si toglie la maschera, e, finalmente pronto ad assumere la sua funzione paterna, si consegna ad un altro figlio. E’ troppo tardi per il suo, dal quale è rimasto mille miglia lontano, ma non per gli altri esseri umani, in mezzo ai quali ritorna.


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